La metodologia del Centro Alfredo Rampi per i bambini e i ragazzi in emergenza

Soccorso Bambini cap2


I sentimenti di una ragazza di I media

Arcobaleno

di DANIELE BIONDO

Il Centro Alfredo Rampi ha elaborato, nel campo della psicologia dell’emergenza, un proprio modello culturale e scientifico originale, che orienta gli interventi di prevenzione e di soccorso finalizzati a preparare i cittadini, ed in particolare i bambini e i ragazzi, a sopravvivere alle emergenze e ad acquisire la cultura della sicurezza e della protezione civile. È un modello che ha trovato conferma nelle moderne ricerche delle neuroscienze e della psico-traumatologia, adoperato da noi anche nella formazione di tutti gli attori che gestiscono un’emergenza.

È POSSIBILE SUPERARE IL TRAUMA?

Una prima questione affrontata dal modello psicodinamico multiplo riguarda la possibilità di modificare le reazioni degli esseri umani ai traumi prodotti dagli eventi catastrofici sia di origine ambientale che civile.

Da un punto di vista scientifico, la ricerca internazionale nel campo delle neuroscienze ha evidenziato che il trauma produce cambiamenti psicologici reali come per esempio una ritaratura del sistema d’allarme del cervello.

Il trauma aumenta, infatti, il rischio di mal interpretare il significato di una situazione rischiosa, producendo un sistema d’allarme difettoso, il quale a sua volta dà vita a facili scoppi d’ira o collassi psichici, un incremento dell’attività degli ormoni dello stress e un’alterazione nel sistema deputato a discriminare le informazioni rilevanti e quelle irrilevanti. Nei bambini e negli adolescenti il trauma ha effetti ancora più dannosi, considerato che il cervello non si è ancora formato e di conseguenza gli effetti dissociativi del trauma tendono a condizionare tutto il successivo sviluppo psichico.

Il trauma determina la compromissione dell’area del cervello che trasmette la percezione fisica, corporea e dell’essere vivi; compromissione capace di rendere le persone traumatizzate ipervigili rispetto alla minaccia, perché il cervello continua a secernere grandi quantità di ormoni dello stress, anche dopo che il pericolo è passato. Si potrebbe creare la tendenza a ripetere la situazione traumatica: ciò che ha causato dolore costituisce la sola fonte di senso e la conseguente difficoltà ad apprendere dall’esperienza.

Sono state sviluppate esperienze terapeutiche che sfruttano la neuroplasticità del cervello per aiutare i sopravvissuti a sentirsi effettivamente vivi nel presente, così da poter procedere nella loro vita.

Le tecniche di formazione all’emergenza psicologicamente orientate e adottate da noi sono orientate dalle moderne conoscenze psicopedagogiche – riferite alla psicopedagogia del rischio ambientale – e dalle conoscenze psicoanalitiche, rispettose dell’autonomia individuale e del potenziale creativo presente in ogni essere umano.

Il modello psicodinamico multiplo per la formazione dei bambini e dei ragazzi all’emergenza mira a proporre esperienze formative nell’area emotiva (educazione affettiva, attività espressive come gioco simbolico, disegno, teatro,), nell’area psicosensoriale (training autogeno e altre tecniche di controllo della respirazione e del tono muscolare), nell’area cognitiva (conoscenza dei rischi ambientali, delle reazioni emotive al trauma, ecc.), nell’area comportamentale (costruzione delle capacità autoprotettive, esercitazioni e sviluppo di capacità di adattamento per l’apprendimento di sequenze comportamentali corrette, automatizzazione delle reazioni di sopravvivenza non istintuali), nell’area sociale (costruzione del senso di responsabilità, di solidarietà e di convivenza civile, capacità di lavorare in gruppo). 

Le capacità di recupero dei bambini e dei ragazzi – per sopravvivere all’impatto con emozioni-limite quali la perdita, il dolore, l’orrore, la rabbia o l’impotenza, – possono essere attivate solo se possono trovare negli adulti di riferimento (per i più piccoli) , nel gruppo dei pari (per gli adolescenti) e nella comunità di appartenenza (per tutti)  riconoscimento e conferma; con l’obiettivo di sviluppare la loro capacità di accettare la perdita, di provare dolore, di tollerare la paura e l’angoscia derivanti dagli eventi inaspettati della vita.

L’INTERVENTO PSICOLOGICO IN EMERGENZA

I bambini e i ragazzi devono essere aiutati in maniera particolare a gestire il momento dell’emergenza offrendo loro un aiuto educativo, psicologico e sociale per ricevere un’immediata comunicazione che consenta loro di capire cosa stia accadendo e il perché delle istruzioni date dagli adulti per proteggersi dalle conseguenze dell’evento catastrofico.

Laiuto psicologico è particolarmente importante anche nel post-emergenza, in quanto, con l’affievolirsi degli interventi di aiuto materiale, provenienti dall’esterno della comunità colpita, esso rappresenta una delle poche risorse cui i bambini e i ragazzi possono attingere per riprendere il corso della propria esistenza accettando il profondo cambiamento interno imposto dall’evento.

Bisogna lavorare sulla capacità della comunità di assimilare e metabolizzare i danni che l’evento catastrofico porta in sé, al di là della sua portata, e collocare l’evento in un setting culturale, sociale ed umano, che permette ai bambini e ai ragazzi di dare un senso all’esperienza catastrofica.

INTERVENTI PSICOLOGICI IN EMERGENZA

Nella relazione d'aiuto con il bambino traumatizzato l'operatore deve sviluppare la capacità di CONNETTERLO AL MONDO
I bambini hanno perso la connessione con il mondo che per loro era familiare. Uno scambio verbale e non verbale empatico, che dia sostegno, può contribuire a dare l’esperienza di connessione con gli altri.

Gli adolescenti hanno maggiore tolleranza dei bambini rispetto alla perdita  del mondo che per loro era familiare. Comunque hanno bisogno di uno scambio verbale e non verbale empatico, che dia sostegno, e che può contribuire a dare l’esperienza di connessione con gli altri. Aiutare i ragazzi a riunirsi in gruppo è importante. Il gruppo dei pari rappresenta la prima importante risorsa mentale per fronteggiare l'esperienza traumatica. Il piccolo gruppo rappresenta la prima forma di soccorso psicologico per l'adolescente traumatizzato.

 
I bambini e i ragazzi che sono così fortunati da avere accanto, subito dopo l’impatto con l’evento traumatico, nei giorni e nelle settimane successive qualcuno di cui riuscire a fidarsi davvero, possono sfogare lo shock gridando e tremando, o piangendo. Altri, purtroppo, reprimono le proprie lacrime per anni. Il mancato sfogo, può essere causa di sintomi fisici ed emotivi. In queste situazioni è noto che gli psicologi dell’emergenza si fermeranno per un tempo definito ma, se si riesce a giocare insieme, ad inventare un gioco, a disegnare, ecco che si affaccia immediatamente la possibilità di elaborare e metabolizzare.

Per realizzare tali interventi occorrono operatori specializzati in psicologia dell’emergenza, in grado di realizzare una molteplicità di interventi professionali con i bambini e i ragazzi: accogliere, soddisfare i bisogni primari; facilitare l’espressione (con il gioco, il disegno, il teatro) e la verbalizzazione delle emozioni e la condivisione delle esperienze traumatiche; aiutare a riguadagnare il senso di controllo sulla situazione e favorire un recupero attivo; informare sulle cause, sulle conseguenze e sull’evoluzione dell’evento, sui servizi disponibili, sulle persone coinvolte; valutare le loro esigenze informative e soddisfarle per quanto possibile utilizzando il linguaggio più adatto per ogni età; fare interventi clinici, con lo scopo di valutare la presenza di reazioni emotive, disturbi del comportamento e alterazioni dei processi cognitivi; identificare i soggetti che necessitano di assistenza psicologica immediata e che richiedono approfondimenti diagnostici o coloro che richiedono un intervento sanitario; realizzare interventi psicosociali con lo scopo di fornire sostegno a livello individuale, familiare e di gruppo; effettuare interventi nella prime fasi di elaborazione del lutto in situazioni specifiche: ad es. quando i bambini e i ragazzi hanno perso una persona cara; svolgere interventi individuali o di gruppo sugli operatori che hanno compiti educativi: genitori, docenti, educatori, assistenti sociali. Offrire tale sostegno (evolutivo, terapeutico, psicosociale) permette di trasformare i problemi in opportunità, di superare le inevitabili tendenze regressive per trasformarle in occasioni di crescita e di progresso sostenibile. 

 

COME REAGISCONO I BAMBINI E I RAGAZZI QUANDO SONO VITTIME DI UNA CATASTROFE

Per evitare che psicologicamente la paura e il terrore attivati dall’evento catastrofico si trasformi in angoscia e panico, i bambini e i ragazzi devono essere aiutati a ridurre le loro reazioni emotive all’evento stesso, a cominciare alla reazione più comune dal punto di vista psicologico, quella del sentimento d’impotenza. Occorre ricordare che nei disastri di massa i modelli di resa e d’impotenza sono più comuni del panico: quasi tutti gli studi indicano che una reazione di blocco, di ottundimento psichico e di sconcerto è una risposta di gruppo molto più probabile del panico. I sopravvissuti alla persecuzione nazista, per esempio, hanno passato lunghi periodi di robotizzazione o di automatizzazione (Lifton, 1967). Tale condizione è spesso preceduta da una depersonalizzazione, che rappresenta un tentativo di negare la realtà o di “ottundere” le proprie reazioni emotive (Enry Kristal 1978-1983).

L’essenza dell’impotenza, riconosciuta ed ammessa, è la resa al pericolo inevitabile, che fa passare lo stato affettivo dall’ansia alla passività. La resa impotente al pericolo fa passare lo stato affettivo da una risposta iperattiva e ipervigile (ansia) a una di blocco emotivo e di inibizione progressiva che rischia di caratterizzare tutto il successivo sviluppi dei bambini e dei ragazzi. Nello stato traumatico immediatamente successivo all’evento, dunque, dobbiamo aspettarci che nella maggior parte dei casi la reazione dei bambini e dei i ragazzi sia di paralisi psicologica, accompagnata spesso da una paralisi motoria.

L’immobilità fisica osservabile in questi stati traumatici, assimilabili allo stato catatonico, è accompagnata da un blocco massiccio di tutta l’attività mentale non soltanto degli affetti, ma di ogni iniziativa, giudizio e altre attività.

Poiché una parte della reazione catastrofica al trauma consiste nel blocco della registrazione conscia del dolore e degli affetti dolorosi, si può supporre di avere a che fare con un protrarsi dell’ottundimento e con un’anestesia affettiva. C’è una tendenza a protrarre l’iper-vigilanza in un modo che corrisponda ai problemi depressivi: lo stato di super-allerta può includere risposte di ansia fisica, quali modelli di trasalimento, aumento della tensione muscolare e tutte quelle componenti dell’ansia incluse nell’iperattività del sistema nervoso simpatico (crisi neurovegetative acute). Una volta che nei bambini e nei ragazzi viene distrutto il senso di sicurezza, c’è l’esperienza della ripetizione degli stati d’angoscia, l’aspettativa del ritorno dello stato traumatico e, in particolare, del ritorno dell’intollerabile reazione affettiva dell’impotenza. Gli stati ansiosi cronici possono manifestarsi in sintomi fisici o in una configurazione cognitiva di preoccupazione e insicurezza croniche, accompagnate dal disorientamento.La limitazione di tutte le funzioni cognitive può protrarsi oltre la situazione traumatica a livelli imprevedibili, tanto da far sembrare in seguito questi bambini come inibiti o borderline cognitivi.

Esiste una mancanza di motivazione ad ampliare nuovamente le proprie funzioni mentali, che produce l’incapacità di sentire emotivamente, o di confrontarsi, con certi tipi di esperienza, in particolare tutte le nuove esperienze. La rabbia, che tanto spesso nella situazione traumatica si reprime, ritorna come sfida permanente al futuro adattamento del bambino e dell’adolescente ai diversi contesti di vita (famiglia, scuola, ecc.). La sua comparsa può essere subito notata non appena viene ristabilita la sicurezza (ad esempio può emergere all’interno dell’area di accoglienza).

I bambini e i ragazzi non sono più in grado, da soli, di ritrovare la fiducia in se stessi, di riattivare l’illusione necessaria ad affrontare le frustrazioni della vita, di riattivare il funzionamento più progredito e la capacità di pensare. Per sopravvivere dopo un evento traumatico è necessario riprendersi dal rischio di caduta verso l’impotenza, mobilitando difese molto primitive della mente, cercando di recuperare l’illusione dell’onnipotenza infantile, relativa al periodo della non integrazione dell’Io: il bambino può permettersi questa illusione, come ci ha insegnato Donald Winnicott (famoso psicoanalista infantile inglese), in quanto è l’ambiente a proteggerlo nella sua crescita, permettendogli le fantasie onnipotenti e difendendolo da eventuali esperienze di impotenza. Per i bambini e gli adolescenti colpiti da una catastrofe deve essere l’ambiente, inteso come ambiente umano, come adulti di riferimento, a sostenere e accompagnarli nella ripresa attraverso l’aiuto sanitario psicologico e logistico. 

 L'INTERVENTO PSICOLOGICO NELLA POST-EMERGENZA

La catastrofe può essere intesa anche come un momento evolutivo che, se accompagnato da adulti attenti ed esperti, può permettere alla mente dei bambini e dei ragazzi di aprirsi a nuove funzioni. L’emergenza permette l’avvicinamento della mente al corpo, con una funzione di integrazione evolutiva atta a sopravvivere. Per accedere alla possibilità di pensare all’evento traumatico è molto importante un lavoro psicologico che lo faccia diventare elaborabile per dare un significato a un’esperienza assurda e permettere al soggetto di recuperare se stesso e il ruolo attivo nella propria storia personale. 

In termini di resilienza, il lavoro psicologico con i bambini e gli adolescenti  nella fase della post-emergenza deve poggiarsi sul recupero di oggetti precoci buoni o sufficientemente buoni (Winnicott, 1965), sul recupero del contenitore psichico affidabile, dell’antico pattern di attaccamento sicuro costruito nella prima infanzia (Bowlby, 1988, 1969; Ainsworth et al., 1979), sulla ricerca dell’ambiente favorevole alla crescita post-traumatica, sulla capacità di ricorrere a figure di riferimento valide nel momento dell’evento critico, capaci di offrire sostegno psicologico durante e dopo l’emergenza. Non ci può, infatti, essere resilienza dei bambini e degli adolescenti senza lo svilupparsi di una relazione affettiva e dinamica. I cambiamenti si producono solo all’interno di un’intensa esperienza emotiva.

INTERVENTI PSICOLOGICI NELLA POST-EMERGENZA

Nella relazione d'aiuto con il bambino traumatizzato l'operatore deve fare particolarmente attenzione

a realizzare un buon ritmo tra proposta di un'attività ed ascolto delle proposte del bambino

a realizzare “un’attenzione sospesa e pensante” alle proposte spontanee del bambino capace di accompagnarli nelle loro libere esplorazioni

ad usare parole semplici capaci di raggiungere i sensi senza eccitare.ad osservare il corpo, con il quale il bambino esprime principalmente la sua sofferenza connessa al trauma.

 
Lo psicologo dell’emergenza deve attivare la capacità dei bambini e dei ragazzi di utilizzare sia il sistema di rappresentazioni simbolico-verbale che quello procedurale di azioni. E cioè la capacità di produrre cambiamenti attraverso sia le parole che le azioni, intendendo le azioni e i comportamenti come un altro modo di pensare. Tutto ciò che aiuta i bambini ed i ragazzi a rappresentare il trauma vissuto aiuta l'elaborazione psicologica dello stesso.

Inoltre è fondamentale che l’operatore sviluppi la capacità di entrare in contatto con le sensazioni e le percezioni del corpo del bambino (Milner 1969),  la capacità di sviluppare il buon senso (Tustin 1990), la capacità di utilizzare il proprio transfert corporeo (Mattew 1998, Pozzi 2003), cioè di utilizzare le informazioni non verbali e sensoriali che il bambino ci manda.  Per fare ciò l'operatore deve essere in contatto profondo con il proprio corpo ed essere capace di sentirne le percezioni sensoriali, propriocettive e muscolari, che vengono inconsciamente attivate nella relazione con bambini così profondamente sofferenti.

Il Centro Alfredo Rampi ha maturato una vasta gamma di esperienze nella fase della post-emergenza, che rappresentano un bagaglio condiviso con Save the Children ed altri enti, che possono orientare: per esempio, le ludoterapie con i bambini e gli adolescenti traumatizzati a causa di eventi catastrofici di diversa natura. In queste esperienze abbiamo osservato che l’esperienza ludica via via diventa sempre più simbolica ed espressiva, anche in situazioni profondamente traumatiche e violente, consentendo al gioco di diventare un’esperienza trasformativa. Sfruttare il campo ludico come canale di comunicazione rispetto all’inondazione del senso di morte permette una prima forma di trattamento in emergenza e la possibilità di curare gli effetti dello stress post traumatico nella post-emergenza. 

IL TRATTAMENTO DEI BAMBINI E DEI RAGAZZI TRAUMATIZZATI

La letteratura scientifica segnala con forza la differenza tra il trauma infantile e quello dell’adulto: il primo produce un’angoscia automatica, che riduce l’Io all’impotenza, non essendo in grado di affrontare le emozioni prodotte dall’evento traumatico, mentre il secondo pur essendo di tipo massivo, consente a numerose funzioni dell’Io di rimanere intatte. Il bambino è sopraffatto dagli affetti e dalle emozioni traumatiche, ma non ha le capacità dell’adulto di adottare meccanismi difensivi e strategie tali da consentirgli di cavarsela: di conseguenza sperimenta uno stato che, secondo Stern (1968a; 1968b), si ricollega all’angoscia di morte, intesa come terrore mortale, che comporta una regressione pressoché totale.

Secondo Krystal (1978-1983) la differenza fra la forma adulta e infantile del trauma psichico sta nella diversa relazione con gli affetti. Per il bambino, gli affetti in sé diventano incontenibili e traumatici per la loro natura primitiva e per lo stato mentale primitivo. Nell’adulto, gli affetti intensi non costituiscono di per sé un trauma, anzi, in determinate circostanze, possono essere desiderati. Perfino le tempeste affettive si distinguono dal trauma psichico in quanto minacciano di sopraffare le funzioni integrative ed esecutive dell’individuo, ma non arrivano a farlo. Sono l’annientamento dell’Io, la resa ad uno stato di impotenza e disperazione assolute, e l’insorgere di uno stato “catatonoide”, a rendere traumatica la situazione. 

La relazione fra l’individuo e l’ambiente viene fortemente danneggiata, in direzione della relazione con l’Altro e dei problemi di simbolizzazione e di mentalizzazione. A tal proposito Laub e Podell (1995) raccontano la storia di un ragazzo cambogiano che si era rivolto a un psicoanalista per farsi aiutare a scrivere le proprie memorie. Il ragazzo ricordava molto poco dell’eccidio perpetuato nel suo villaggio dove erano stati uccisi i suoi genitori e del modo in cui egli stesso era riuscito a salvarsi. Come molti altri, questo ragazzo non era in grado di raccontare la propria storia, neppure a se stesso, anche se era  angosciato dalle tracce dell’orrore che aveva vissuto. Laub e Podell (1995, 991) sottolineano che nel ragazzo il crollo della fiducia in una diade esterna empatica produsse immediatamente la perdita della comunicazione interna con l’“altro”; senza questo “altro” interno non vi possono essere rappresentazioni". L’aspetto relazionale (riguardante l’holding e il setting) e quello interpretativo della psicoterapia sembrano giovare a funzioni distinte ma collegate; il primo istituisce una cornice sicura in cui riparare la fiducia e la possibilità di credere nell’"altro" empatico, mentre il livello interpretativo provvede l’aspetto verbale, lavorando sulla comprensione degli effetti del trauma sul transfert.